“Non posso vivere senza di lui”, “Se lei se ne va preferisco morire”, “Mi manca l’aria se non lo vedo”, “Mi sento mancare la terra sotto i piedi e tutto perde di significato se non mi arrivano suoi messaggi”.
Questi sono solo alcuni, dei dolorosi vissuti, che sperimentano persone con tratti di dipendenza affettiva.
Uomini e donne che percepiscono la propria vita e la propria stessa ragione d’essere, dipendente dalla presenza del partner a cui sono legati.
“Ti amo perché ho bisogno di te”, recita il loro copione relazionale.
“Mi aggrappo a te per non cadere”, urla il corpo, sbilanciato verso l’altro e svuotato di quel nutrimento affettivo primigenio che avrebbe donato un sano senso di sicurezza interiore.
Il vissuto, profondamente ansiogeno e disarmante, è di sentirsi morire o di sentirsi una nullità se l’altro dovesse andar via o se loro stessi, stanchi di elemosinare briciole di attenzioni e amore, dovessero dire basta a quel partner a cui sono così visceralmente legati. L’altro diventa un regolatore dei loro stati d’ansia connessi al vuoto interiore e della propria autostima, svilita dalle carenze d’amore e di sintonizzazione risalenti all’infanzia.
Il loro mondo interno è abitato da un bambino che anela ad una fusionalità in cui finalmente perdersi, per ritrovare quel paradiso affettivo mai abitato nelle relazioni significative del passato.
Il partner diventa indispensabile come l’aria per nutrire il senso del valore di sé e per sedare stati d’angoscia profondi che affondano le radici nel costante terrore dell’abbandono, del rifiuto e della solitudine.
“Se lui/lei c’è io valgo e mi sento vivo/a, se l’altro non c’è non sono nulla, non valgo niente, meglio morire”.
Non sentendosi realmente meritevoli e degni di amore si legano a partner affettivamente evitanti e deprivanti, molto centrati su di sè e con una spiccata tendenza a strumentalizzare l’altro senza vederlo davvero come essere umano, con sentimenti e bisogni degni di esistere.
All’inizio del rapporto si mostrano caldi, seduttivi, affascinanti, pieni di attenzioni, per poi iniziare a ritirarsi man mano la relazione diventa più intima, perché intimamente spaventati a loro volta, incapaci di provare davvero empatia, connessione con l’altro e costruire legami.
Il loro assetto di personalità li porta ad apparire molto sicuri di sé ed indipendenti dall’amore, ma in realtà, in profondità, c’è estrema fragilità e terrore dell’intimità relazionale.
Le richieste di contatto e di vicinanza dell’altro sono vissute come minacciose, intrusive e per loro ingestibili.
Dunque l’illusione della persona che vive uno stato di dipendenza affettiva, di aver trovato finalmente il compagno o la compagna ideale a cui “aggrapparsi”, con cui fondersi e confondersi, a cui affidarsi anima e corpo, decade pian piano tristemente.
Tuttavia, spesso, pur di tenere in vita il rapporto e non incontrare fino in fondo il senso di solitudine e abbandono si rende disponibile ad accontentarsi di quel poco che riceve, o addirittura, in alcuni casi, a subire umiliazioni, violenze e ricatti pur di non perdere l’altro.
E’ il caso di Lucia, che oggi arriva con la consapevolezza della gabbia relazionale di cui si sente prigioniera ma da cui al contempo ancora non si sente pronta ad uscire.
“Non mi dà più nulla, o comunque poca roba, briciole…so che dovrei dire basta a questa situazione, sono stufa, molto stanca…mi sta consumando, ma ancora non ce la faccio”, mi dice evidentemente provata da una situazione stagnante che si trascina da un po’.
Per chi vive questa condizione la sensazione imperante è di non avere la possibilità di scegliere.
L’alternativa alla relazione è contattare il dolore del vuoto, un vero e proprio senso di morte, una sorta di baratro oscuro unito a vergogna, senso di inadeguatezza e nullità.
“Lucia se tu ora provi ad immaginare di chiudere questa relazione che ti succede?”, le domando.
“Sento che mi mancherebbe, ma non il Matteo di adesso, quello che mi ha fatto credere di essere all’inizio…già…all’inizio mi ha abbagliata con il suo modo di fare brillante, un corteggiatore eccellente. Mille sorprese, proposte di avventure entusiasmanti. E poi, poi sono caduta nella rete…e lui si è trasformato. Un’altra persona. Sempre più cupo e depresso, attorcigliato nei suoi problemi. Io sono diventata improvvisamente trasparente, utile solo come bidone su cui riversare la sua spazzatura all’occorrenza. E alle mie richieste di vicinanza la risposta è sempre la stessa… che lui è fatto così, che mi sa voler bene solo a distanza.”
“Quindi Lucia, se comprendo bene, ti mancherebbe un Matteo che in realtà non esiste realmente…?”
“Già…”, mi dice come se stesse facendo una capriola dal paradiso all’inferno.
“E allora Lucia, cosa accadrebbe realmente se tu chiudessi questa relazione?”.
Gli occhi di Lucia iniziano a riempirsi di lacrime.
“ ….che dovrei entrare nel tunnel del mio dolore…nel mio sentirmi zero…e io so che quel tunnel non riguarda solo Matteo, lo so, lo sento che ha radici più profonde e mi terrorizza”.
Il cammino di guarigione passa inevitabilmente dall’incontro con il proprio vuoto, con i propri fantasmi interiori e dall’attraversamento dei bisogni insoddisfatti dell’infanzia che così profondamente hanno intaccato la nostra personalità ingabbiandoci in schemi relazionali ripetitivi e dolorosi.
Passa dalla ricerca del proprio centro, dei propri reali bisogni e desideri, delle proprie risorse e dalla riconquista della propria autonomia.
Passa dal fare amicizia con il proprio vuoto e la propria solitudine, vuoto fertile per riscoprire i propri tesori interni, l’amore verso di sé, la tutela della propria dignità e il diritto a ricevere un amore sincero.
“Lucia, capisco la tua paura. I tunnel sono bui, non si vede l’uscita e credo non siano mai piaciuti a nessuno. Sai, quando li ho attraversati prima di te hanno fatto molta paura anche a me.”
Lucia mi guarda rassicurata dal mio “svelamento” e mi domanda: “Ma come si fa? Io non so come si fa!!!”.
“Si fa che si STA, le rispondo, si sta nelle emozioni che attraversando il tunnel tu incontrerai, si sta nel guardarle e affrontarle senza negarle. Io ho fiducia che tu puoi farcela”.
“Ma tu ci sarai?”.
“Io ci sarò”.
Mi sorride.
“Sai cosa ti dico? Che ho proprio fiducia anche io”.